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Al via i saldi anche per i professionisti: la libera concorrenza prevale su un compenso decoroso

Il presidente Troncarelli commenta a caldo la sentenza del Consiglio di Stato che esclude il parametro del decoro dalla valutazione del compenso professionale.

La deriva incontrollata che l’orientamento normativo e giurisprudenziale ha da qualche anno assunto nei confronti degli aspetti economici legati alla libera professione, si è arricchita dell’ennesima gemma. La sentenza del Consiglio di Stato n. 238 del 22/01/2015.

Qualsiasi valutazione di buon senso definirebbe tale indirizzo irresponsabile, illogico ma soprattutto foriero di effetti opposti a quelli virtuosi, ma del tutto virtuali, che dovrebbe produrre; tuttavia, per i nostri legislatori e, apprendiamo dalla sentenza, anche per quelli europei, evidentemente avulsi dalle dinamiche che sono alla base della libera professione, non è così, anzi!

Tutti sappiamo che, con discutibilissime scelte politiche, è stato progressivamente cassato dall’impalcato normativo nazionale riguardante gli ordinamenti professionali, qualsiasi riferimento al termine “tariffari”.

Vale la pena, per commentare nel dettaglio la sentenza sopra ricordata, fare un rapido excursus dello stato dell’arte al riguardo che si conclude, per ora, con la sentenza n. 238 del 22/01/2015 della VI^ Sezione del Consiglio di Stato.

  • Le misure contro la crisi economica degli ultimi anni, le cui cause sono in parte state individuate, da legislatori e Autorità varie, nella “casta” delle professioni e nello spirito corporativo delle stesse, iniziano con la eliminazione dei minimi tariffari voluta da Bersani (D.L. 223/06) e la successiva abolizione dei tariffari stessi introdotta da Monti con il “Decreto Sviluppo” (D.L.1/12), con l’intento di perseguire la “liberalizzazione” delle attività economiche e rilanciare il comparto di riferimento.
  • Il CNG emenda con propria Delibera n.65 del 24.03.2010 il Codice Deontologico già approvato con precedente Delibera n. 413 del 19.12.2006.
  • L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), in gergo nota come Antitrust, con un proprio procedimento del 14.05.2009 avvia l’accertamento di eventuali violazioni da parte del CNG all’art. 101 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea, per effetto delle norme contenute nel Codice Deontologico; successivamente, con una prima delibera del 22.12.2009, rigetta dapprima gli impegni assunti dal CNG a tal riguardo e poi ritiene, con delibera del 23.06.2010, che il CNG abbia posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza, laddove l’art. 18 del Codice fa riferimento al “decoro professionale” quale criterio di commisurazione del compenso professionale, ordinando al contempo di assumere misure atte a porre termine all’illecito ed irrogando una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di € 14.254,00.
  • Il CNG ricorre (n. 4584/11) contro le due delibere presso il TAR Lazio.
  • Il TAR Lazio, con sentenza della I^ Sezione n. 1757/2011, rigetta il ricorso del CNG, ritenendo però viziato il provvedimento dell’Antitrust del 23.06.2010.
  • IL CNG appella la sentenza TAR Lazio al Consiglio di Stato, così come fa l’Antitrust.
  • La VI^ Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza collegiale n. 1244 del 05.03.2012, rimette i due ricorsi alla Corte di Giustizia Europea.
  • Questa, con propria sentenza C-136/12 del 18.07.2013, equipara la libera professione intellettuale all’attività imprenditoriale e definisce il CNG un’associazione di imprese, legittimando pertanto il giudizio dell’Antitrust, poiché considera il codice deontologico come una “deliberazione di un’associazione di imprese”; statuisce inoltre che l’art. 18 del Codice Deontologico, che indica, come criterio di commisurazione della parcella, la dignità ed il decoro della professione nonché la qualità e l’importanza della prestazione, sia idoneo a produrre effetti restrittivi della concorrenza.     
  • Il Consiglio di Stato, infine, con l’ultima sentenza 238/2015 già ricordata, della VI^ Sezione, rigettando il ricorso del CNG ed accogliendo invece quello dell’Antitrust, fa proprie le conclusioni della Corte di Giustizia Europea, convalidandone la tesi che VIETA, nella valutazione del compenso professionale, qualsiasi riferimento al decoro ed alla dignità, come invece previsto dall’art. 2233 – comma 2 - del Codice Civile, in quanto restrittive della concorrenza nel mercato interno, non garantendo  necessariamente la legittima tutela del “consumatore” e di contro reintroducendo, in modo indiretto e surrettizio, i minimi tariffari, quindi eludendo il D.L. 226/03 ed il D.L. 1/2012 che li avevano aboliti.

A nulla è valsa la tesi del Consiglio Nazionale dei Geologi sulla necessità di operare una distinzione tra concorrenza professionale e concorrenza commerciale poiché, peraltro in linea con una giurisprudenza comunitaria consolidata, la Corte di Giustizia Europea ha riaffermato il principio secondo cui la nozione eurounitaria di impresa include anche l’esercente di una professione intellettuale!

Questo può andare bene forse nel resto dell’Europa, ma di certo non ha prodotto i frutti sperati in Italia: i disastrosi effetti sul livello del prodotto intellettuale, confermati dalla qualità sempre più scadente della progettazione e della realizzazione delle opere, pubbliche e private, confermano che dignità, cultura, competenza e responsabilità non possono essere vendute al massimo ribasso né messe in trattativa come merce da banco!

E la motivazione del pronunciamento europeo, ed a caduta del Consiglio di Stato, è che il fine di tutelare il consumatore viene garantito dall’ordinamento giuridico nazionale, attraverso la disciplina normativa che regola il singolo rapporto tra professionista e cliente, mediante rimedi civilistici e non certo attraverso l’attribuzione di poteri di vigilanza agli Ordini professionali. Né si può ritenere che la regola deontologica che impone di praticare compensi commisurati al decoro della professione, possa trovare copertura normativa nell’art. 2233 del C.C. il quale, occupandosi del contratto d’opera intellettuale, secondo il Consiglio di Stato si indirizza al singolo professionista, disciplinando come già detto i suoi rapporti con il cliente nell’ambito del singolo incarico, senza attribuire alcun potere di controllo agli Ordini in merito alle scelte contrattuali dei propri iscritti!    

Vale pertanto la pena riassumere il quadro che ne deriva, il quale descrive una situazione sempre più preoccupante per il futuro della professione.

Intanto la tutela del decoro e della dignità professionale dovrebbe in primo luogo essere garantita da noi stessi, indipendente dalla vigenza o meno di norme che ne regolino gli aspetti deontologici; purtroppo, sempre più spesso, a causa di un sistema formativo che non cura abbastanza gli aspetti tecnici né tratta affatto quelli inerenti le responsabilità che il nostro ruolo comporta, a cui si somma la grave crisi del settore che porta ognuno di noi ad una corsa autonoma per la rispettiva sopravvivenza, tali valutazioni finiscono nel cassetto dei propositi astratti. E magari fosse vero che l’obbligo, contenuto nei codici deontologici, di rispettare il decoro della professione per la determinazione del compenso induca gli scritti a ritenere ancora vincolanti le tariffe professionali! Purtroppo non è così ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ed ora tale sentenza, che da una parte sdogana valutazioni economiche irresponsabili da parte di molti iscritti, mentre dall’altra induce i non addetti ai lavori, ovvero una buona parte dell’opinione pubblica, con l’Antitrust in testa, a ritenere che gli Ordini e le leggi che ne disciplinano l’attività, rappresentino un reale freno alla ripresa economica del paese!

Ma i signori dell’ex Antitrust sono a conoscenza del declino culturale del paese, della inarrestabile emorragia degli iscritti agli Ordini regionali dei Geologi, della chiusura con cadenza quotidiana di studi e società di geologia che coinvolge soprattutto i più giovani, della progressiva perdita dei Dipartimenti di Scienze della Terra negli Atenei in tutta Italia?

Probabilmente no e comunque se ne disinteressano, concentrati come sono nel mantenere i loro status quo ed i loro appannaggi, che li mettono al riparo dalla onda inarrestabile della crisi che sta colpendo tutto il settore produttivo del paese. 

Nella deriva totale dell’ordinamento giuridico nazionale, la sentenza del Consiglio di Stato è l’ennesima riprova di una situazione ormai totalmente fuori controllo, che sta determinando un progressivo decadimento della professione intellettuale, sia negli aspetti tecnici che in quelli etici. Tutto nel nome della “liberalizzazione”, del rilancio economico, della crescita del paese, bla bla bla. E basta con la solita storia che le sentenze si accettano: se sono palesemente in contrasto con l’interesse pubblico, se producono effetti contrari a quelli per i quali sono state scritte, se confliggono con la regola base del buon senso e del vivere civile, allora vanno criticate, contrastate e combattute.

A nessuno infatti è sfuggito come il presunto, molto presunto, rilancio economico, che avrebbe dovrebbe registrarsi a seguito di questo nuovo trend normativo “virtuoso”, si sia invece sostanziato in un ulteriore impoverimento culturale e sociale, in un complessivo peggioramento delle prestazioni intellettuali, della qualità in generale del prodotto professionale, sempre più infarcito di inutili bizantinismi e riferimenti normativi e sempre meno pregno di contenuti tecnici rilevanti, con una pericolosa tendenza da parte delle stazioni appaltanti e dei committenti a valutare la prestazione professionale con il solo metro economico e non con quello qualitativo, che è sinonimo di garanzia, di sicurezza, di durevolezza.

L’attività professionale autonoma è osteggiata dalle grandi imprese, dai grandi gruppi d’ingegneria, dalle lobbies che controllano ed orientano, pro domo loro, anche le scelte legislative nel nostro paese,  e che vorrebbero fagocitarla per imporre poi dall’alto, a noi poveri prestatori d’opera intellettuale, condizioni economiche offensive. Lo fanno per produrre un loro arricchimento economico, ma a condizioni che però hanno, come contraltare, un inaridimento professionale, scientifico e culturale. Noi professionisti non lo possiamo accettare, non lo vogliamo, non lo dobbiamo, per dirla come fece Papa Pio VII nel 1809 al generale napoleonico Miollis che voleva prenderlo in consegna!

L’auspicio è che, al di là delle imposizioni normative, ognuno di noi continui a porre alla base dell’espletamento della propria attività di geologo, che è anche decisiva ed imprescindibile funzione sociale, e a difesa della professione intellettuale, concetti quali responsabilità, correttezza deontologica, competenza, approfondimento critico. Concetti tutti che, se applicati con costanza e coscienza, in  automatico determineranno valutazioni economiche decorose e dignitose! Senza bisogno che i soloni che noi contribuiamo a mantenere e ad ingrassare ci vengano a dire “come si fa”!

Roberto Troncarelli

Presidente dell'Ordine dei Geologi del Lazio